Il Bambino nero e il mondo illuminato

  Accadde la notte di martedì 24 dicembre 2013, alla mezza e un minuto.

 

<< Non ho mai provato un’emozione così intensa!>> esclamò Anna, il medico di turno in sala parto. Accolse tra le braccia il figlio della donna venuta dal mare e gli parlò a voce bassa, con tono pastoso: era certa che il piccolo essere, che la invadeva coi propri umori, mischiati a quelli materni, la sentisse, come lei ascoltava il suo grido sfrontato, inebriante: una guerra tra labbra rosee, strenua resistenza al distacco.

Anna soffermò lo sguardo sugli occhi di velluto del bambino nero, attaccato alla vita di prima dal cordone che stava per recidere, mentre Miriam Soledad, col ventre spalancato, si lamentava in una lingua sconosciuta. Con un fremito mise il neonato sul petto della donna: tentava di colmare una solitudine desolata e profonda, calata all’improvviso. Così doveva essere! Era capitato a lei, ma mai Angiolino avrebbe dovuto uscire dal suo grembo.

 Le due donne si scrutarono e piansero insieme; avevano già sperimentato di non esistere per loro stesse, ma per quello che significavano. Svelarono ognuna la propria emozione e, al di là dei vetri, indugiarono nella contemplazione del baluginare della neve tra i rami dell’abete, addobbato per Natale, finché il sorgere improvviso di una vivida  luce mostrò loro le infinite arcate del Cielo, più oltre.

Il fascio luminoso circoscrisse le tenebre della stanza: il Bambino trionfava nella Luce, mentre le donne, sfiorate dai bagliori, si sentivano liberate dal dolore e dall’infamia, che le avevano coinvolte in modo diverso, ma totale.

“Un Vuoto dalle due facce che si equivalgono: una che ci comprime nell’ingranaggio annichilente di una vita fatta di pance sazie e di un progresso nemico; l’altra che li consuma nelle ferite  scintillanti, carica di pance gonfie che invocano aiuto”, rifletté la dottoressa. Non poteva dimenticare ciò che aveva visto nel primo centro di accoglienza. Si era chiesta quanto il suo mondo fosse migliore.

Ma ora era in un miracolo.

 Il bambino spalancò le braccia. Rivolse le manine dal palmo roseo verso il Cielo: il dito indice della destra semichiusa lo indicava … La mamma disse il suo nome, più e più volte, e Anna lo ripeté, Gesù … Gesù … Gesù … con serena insistenza.

La dottoressa osò ed entrò nel cono di Luce. Prese il Bambino tra le braccia. Si avvicinò ai vetri per mostrarlo al mondo. Ma chi poteva esserci nei pressi di un ospedale, la notte di Natale?

 Guardò la strada: alla luce fioca delle stelle, neve amorevole aveva coperto atre macerie e miserie umane. In quelle forme nivee immaginò cristallizzata ogni tortuosità terrena. Baciò il volto del Bambinello, poi toccò il suo ed ebbe la certezza di non essere se stessa ma qualcun’altra, sì qualcun’altra, per la quale provò sollievo: la sua coscienza vibrava, trionfante, ai margini delle tenebre. Nel suo cuore incominciavano ad albergare desiderio di fede e compassione, ma la donna abbandonata nel letto le suggeriva che non bastava.

Sentì un vocio provenire dal basso, adagiò Gesù nella culletta termica, tornò alla finestra, la aprì e si protese oltre il davanzale: sagome frastagliate erano accosciate sotto l’albero, accanto al Santo Presepe tecnologizzato; non guardavano il giaciglio della stalla di resina, ma forzavano gli occhi all’insù e, col sorriso sulle labbra, chiedevano di rendere omaggio al Bambino. In un francese stentato imploravano di vedere il prodigio scampato ai predoni del deserto, all’abisso scavato dall’odio delle guerre, allo stupratore, all’atrocità dello scafista, al gelo degli abissi marini …

 <<Vogliono amare Gesù>> riferì la dottoressa alla donna venuta dal mare.

La madre intonò un canto giusto, equilibrato, in una tremula malleabilità di spirito; e altre voci risposero, accompagnate dal suono di  una cornamusa.

Ad Anna, che non distingueva più l’armonia, ma solo urla di sirene e rumori assordanti di parole avvelenate, il canto infuse un senso di quiete profonda. Si sorprese a cantare a voce alta, quasi avvinghiandosi alle parole di quell’inno che la prendeva tutta, e lei aveva intenzione di comunicarle agli altri uomini … uomini?, si chiese allarmata.

 Ebbe un attimo, un solo attimo di esitazione.

<<Sì, uomini finalmente veri>> rispose una voce. E continuò: <<Quanto mi sei mancata , mamma!>>

 Le si spalancò davanti tutto l’amore del mondo e avvertì un’infinità di braccia che la subissavano di abbracci. Suo figlio era tornato? Si sorprese a cercarlo nella stanza, come a confermare la realtà di quelle parole, mentre una parte di sé sapeva che non poteva essere. In quell’attimo d’ illusione, Anna sorrise con la più grande dolcezza.

E’ un Natale sereno anche per me, sussurrò alla donna venuta dal mare.

Chissà se Miriam Soledad aveva inteso le sue parole! Ma, alla fine, che importava? Le accomunava una nuova forza. Ce l’avevano dentro entrambe.

 Era il dono di una rinascita, quella nascita.

Tilde Pomes (autrice presso Manni)